È abusiva la casa costruita su suolo comunale in base a titolo edilizio rilasciato dal Comune stesso quarant’anni prima?

La questione trattata è talmente peculiare da essere un caso più unico che raro ed è inerente ai rapporti che intercorrono tra asserita abusività della costruzione, tutela del legittimo affidamento e diritto all’abitazione.
FATTO
Si tratta di una civile abitazione costruita in base ad un titolo edilizio rilasciato dal Comune nel 1977 al Sig. Caio, ora defunto
Quarant’anni dopo il Comune ha riscontrato una divergenza tra il numero di particella oggetto di vendita dallo stesso Comune al Sig. Caio e la particella sulla quale quest’ultimo edificò la casa di abitazione.
La particella indicata nell’atto notarile era indicata con il numero 123 mentre la casa di abitazione risulta interamente costruita sull’attigua particella contrassegnata dal numero 456.
Cos’era accaduto? Il testo del provvedimento di concessione edilizia recava la particella numero 123 ma l’elaborazione grafica allegata indicava la particella numero 456, così l’impresa edile ha costruito su quest’ultimo terreno di proprietà comunale.
Il Comune ha così ordinato la demolizione della casa di abitazione agli eredi del Sig. Caio sul presupposto che le opere in contestazione, stante la loro consistenza realizzate sulla particella n. 456 di proprietà comunale, debbono essere considerate interventi di nuova costruzione e pertanto occorre procedere ai sensi dell’art.31 del DPR 380/2001, disponendo la demolizione delle opere sopra descritte e il ripristino dello stato preesistente all’abuso effettuato.
Gli eredi hanno impugnato tale provvedimento innanzi al TAR Lecce sostenendo che il Comune avrebbe dovuto considerare che quella costruzione venne realizzata (40 anni prima) in base ad un titolo edilizio, tale titolo esiste ed è valido finché non venga annullato.
Se la costruzione è stata realizzata in forza di un titolo edilizio allora non può definirsi abusiva e non può essere assoggettata alle gravissime misure sanzionatorie della demolizione e del ripristino dello stato dei luoghi.
Peraltro il Comune ha adottato l’ordinanza in virtù dell’art.31 del Testo Unico dell’Edilizia quando, invece, la norma applicabile al caso di specie può essere, al limite, quella di cui all’art.35 del medesimo Testo Unico considerato che il supposto abuso consisterebbe nella edificazione su suolo di proprietà del Comune e del suo patrimonio disponibile.
Tale norma impone una “previa diffida non rinnovabile” prima dell’ordine di demolizione e di ripristino dello stato dei luoghi e tale diffida non è stata esperita dal Comune nel caso in questione.
Inoltre il Comune, nell’adottare l’ordinanza di demolizione, non ha indicato quale sarebbe l’interesse pubblico sotteso a procedere in tal senso né ha adeguatamente ponderato tale interesse pubblico con il lunghissimo tempo trascorso ed il legittimo affidamento dei privati.
LA POSIZIONE DEL TAR LECCE
Il TAR Lecce ha accolto le tesi difensive di parte ricorrente con sentenza TAR Puglia, Lecce, Sez. I, 16.5.2023, n.650.
Precisamente i giudici amministrativi salentini hanno sostenuto che l’errore nella localizzazione dell’intervento non sarebbe stato commesso in fase di esecuzione bensì già in sede di richiesta del titolo edilizio, titolo poi rilasciato dal Comune.
Dunque, prosegue il TAR Lecce, non è corretto affermare che le opere de quibus sono state realizzate in difetto di titolo (o in totale difformità dal medesimo) poiché il titolo esiste e l’intervento è stato eseguito in conformità al medesimo anche per ciò che concerne la localizzazione del manufatto.
L’amministrazione comunale avrebbe dovuto procedere, ricorrendone i presupposti, all’annullamento d’ufficio della concessione edilizia ai sensi dell’art. 21 nonies l. n. 241/1990, mentre ha ordinato direttamente la demolizione dell’abitazione, senza osservare la legittima sequenza procedimentale.
Si pone così un altro tema: sussistono in questo caso i presupposti all’annullamento in autotutela ex art.21 nonies della legge 241/1990? A parere di chi scrive no dal momento che l’esercizio del potere di annullamento in autotutela deve essere esercitato entro termini ragionevoli e con motivazione adeguata.
La concessione edilizia in questione era del 1977 quando, per intenderci Ronald Reagan non era ancora stato eletto Presidente degli Stati Uniti e Karol Wojtyla era semplicemente cardinale ed arcivescovo di Cracovia.
Difficile sostenere che l’annullamento in autotutela fosse esercitato, in tal caso, entro termini ragionevoli.
L’OPPOSTA POSIZIONE DEL CONSIGLIO DI STATO
Il Comune ha, tuttavia proposto appello in Consiglio di Stato il quale ha ribaltato la decisione con sentenza Consiglio di Stato, Sez. VII, 4.4.2025, n.2919.
Secondo il Consiglio di Stato non può dubitarsi che l’immobile sia stato realizzato “in totale difformità” dal titolo edilizio che certamente non prevedeva, né poteva prevedere, l’edificazione di un lotto diverso da quello del “titolo di proprietà”.
Secondo il Consiglio di Stato il concetto di “modifica sostanziale della localizzazione dell’edificio sull’area di pertinenza”, e, quindi, di variazione essenziale assoggettabile a sanzione demolitoria in virtù del combinato disposto degli artt. 31 e 32, comma 1, lett. c), del D.P.R. n. 380 del 2001, assume rilievo determinante “lo spostamento del manufatto su un’area totalmente o pressoché totalmente diversa da quella originariamente prevista”.
Inoltre, proseguono i giudici del Consiglio di Stato, in caso di discordanza tra quanto descritto nella relazione tecnica allegata alla domanda di concessione edilizia (ovvero nell’istanza o nel titolo abilitativo) e quanto rappresentato graficamente nelle tavole progettuali degli elaborati grafici, la valenza del dato letterale, ove il medesimo sia formulato in modo chiaro, prevale su quella del segno grafico.
Il Consiglio di Stato sostiene che non possono essere valorizzati i rilievi circa il lungo tempo trascorso dalla edificazione ed il legittimo affidamento in quanto l’ordine di demolizione per sanzionare l’abuso realizzato è un potere avente natura vincolata volto al ripristino della legittimità violata che non ammette deroghe neanche nel caso in cui, come nel caso di specie, l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso o il titolare attuale non ne sia il responsabile.
Infine il giudice amministrativo d’appello conclude nel senso di ritenere inapplicabile il richiamo alla giurisprudenza comunitaria, specie CEDU allegate dalla difesa di parte privata, in quanto la misura sanzionatoria non appare sproporzionata, considerato che si tratta per definizione di edificazioni insanabili ai sensi dell’art. 35 del d.P.R. 380 del 2001, che prevede la demolizione e il ripristino dello stato dei luoghi in caso di intervento eseguito in assenza o totale difformità dal permesso di costruire su “suoli del demanio o del patrimonio dello Stato o di enti pubblici”.
Pertanto accoglie l’appello proposto dal Comune e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata respinge il ricorso di primo grado proposto dagli eredi del Sig. Caio, con conseguente conferma dei provvedimenti con esso impugnati.
CONCLUSIONI
La decisione del Consiglio di Stato andrebbe valutata anche con riferimento alla giurisprudenza europea la quale ha chiarito che il problema del rispetto del principio di proporzionalità nell’esecuzione dell’ordine di demolizione rileva quando viene in gioco il diritto al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio di una persona, di cui all’art. 8 della CEDU, il quale è configurabile in relazione all’immobile destinato ad abituale abitazione della stessa (Corte EDU, sentenza 4.8.2020, Kaminskas c. Lituania e sentenza 21.4.2016, Ivanova e Cherkezov c. Bulgaria).
Tale decisione non si conforma, dunque, a quanto affermato non solo dalla giurisprudenza CEDU ma anche con alcuni orientamenti della giustizia amministrativa.
In passato il giudice amministrativo ha ritenuto illegittimo per violazione del principio di proporzionalità l’ordine di demolizione emanato a distanza di oltre 40 anni dalla realizzazione delle opere abusive allorquando la destinazione delle stesse abbia carattere abitativo-residenziale, in quanto il tempo trascorso dalla realizzazione della costruzione abusiva all’ordine di demolizione assume rilevanza per la valutazione della proporzionalità della sanzione demolitoria, ai sensi dell’art. 8 della CEDU, atteso che la giurisprudenza della Corte EDU ha più volte ribadito la non proporzionalità della sanzione in quanto rappresenta una marcata ingerenza nei diritti dei ricorrenti che da anni abitavano l’immobile (T.A.R. Napoli, Sez. III, 10.8.2020, n.3552).
Il Consiglio di Stato, al contrario del TAR Lecce, non ha valorizzato né la giurisprudenza CEDU né il lungo lasso di tempo trascorso.
Non resta, dunque, che adire la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo cui si può ricorrere quando tutti i gradi interni sono esauriti come in questo caso.