La responsabilità sanitaria in ambito civile

Introduzione
Nell’ordinamento italiano la disciplina della responsabilità civile si suddivide secondo due macro-categorie, che presentano un diverso onere probatorio, incombente in capo a chi voglia far valere le proprie ragioni in sede giudiziale:
- La responsabilità contrattuale, disciplinata dagli artt. 1218 e ss. c.c., in forza della quale il soggetto che esegue la propria prestazione in adempimento di un contratto è tenuto al risarcimento del danno che abbia cagionato. In ambito sanitario questa impostazione comporta che l’attore (ovvero il danneggiato che agisca giudizialmente) possa limitarsi a provare l’esistenza del contratto e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia e meramente allegare l’inadempimento qualificato che ritiene idoneo ad aver cagionato il danno lamentato (causa o concausa efficiente). Il debitore (tipicamente la struttura) per evitare la condanna al risarcimento dovrà dimostrare che non c’è stato inadempimento oppure che lo stesso non è stato rilevante dal punto di vista eziologico (altrimenti detto non è la causa del danno che si è verificato).
- La responsabilità extracontrattuale: disciplinata dagli artt. 2043 e ss. c.c., secondo la quale chiunque cagioni ad altri un danno ingiusto tenendo una condotta colposa o dolosa è tenuto a risarcire il danno che ha cagionato. Corrisponde al generale principio del neminem leadere. Tale elemento si traduce nella fatto che chi agisce per far valere un danno dovrà provare: che la condotta è stata effettivamente tenuta dall’operatore sanitario, il verificarsi dell’evento dannoso, il nesso causale tra l’azione (o l’omissione) ed il danno, nonché l’elemento soggettivo (ovvero la circostanza che il sanitario abbia agito con colpa o dolo). Già ad una prima lettura si comprende dunque che l’onere probatorio in tale ipotesi è maggiormente gravoso rispetto alla prima.
La struttura sanitaria
La distinzione sopra riportata è di particolare rilevanza in ambito sanitario, tant’è vero che è espressamente richiamata nella legge che primariamente disciplina questa materia, ovvero la legge n. 24/2017 (cd. legge Gelli-Bianco). Infatti è la stessa normativa che riconosce come contrattuale la responsabilità della struttura sanitaria. In particolare si tratta di una fattispecie di responsabilità diretta per fatto altrui che trova fondamento, ai sensi dell’art. 1228 c.c., nella circostanza che la struttura per adempiere alla propria prestazione contrattuale utilizza dei terzi (ovvero i sanitari) del cui operato si assume il rischio. Da tanto discende che il paziente che intenda agire nei confronti della struttura dovrà dimostrare esclusivamente di essere stato trattato presso la stessa e che il trattamento abbia cagionato un danno alla sua salute. Di norma questa è la situazione più tipica, ovvero il paziente si reca in una struttura sanitaria, pubblica o privata, e viene sottoposto ad esami o trattamenti dai sanitari che collaborano con la stessa, gli viene cagionato un danno e pertanto agisce contro la struttura al fine di ottenerne il risarcimento.
L’esercente la professione sanitaria
La posizione del medico è invece più di frequente (ma non esclusivamente) ricondotta ad ipotesi di responsabilità extracontrattuale. Tipicamente infatti il professionista sanitario opera all’interno di strutture (con contratto libero professionale o quale dipendente) pertanto, come abbiamo visto, in via principale è la struttura a dover rispondere del suo operato. In tutti questi casi tuttavia la struttura ha uno strumento di rivalsa nei suoi confronti. In particolare, ai sensi dell’art. 9 della legge Gelli-Bianco, laddove la struttura sia condannata a dover risarcire un danno derivato al paziente e cagionato da una condotta gravemente colposa o dolosa del medico, può richiedere che il medico sia condannato a tenerla indenne (secondo la percentuale che sarà stabilita in sede giudiziale). Va evidenziato che il limite che la legge espressamente pone, sempre con l’art. 9 citato, è proprio la presenza di una condotta gravemente colposa o dolosa dell’esercente la professione sanitaria, dal che discende che laddove il medico abbia agito con colpa lieve la struttura non potrà ottenere il riconoscimento di alcuna somma a carico del sanitario.
Si noti che la possibilità del paziente di agire in via prioritaria contro la struttura ed il fatto che la struttura possa poi (nello stesso o in altro procedimento) proporre a sua volta l’azione di rivalsa nei confronti del sanitario, non escludono l’eventualità che il paziente agisca già in prima istanza sia contro il sanitario che contro la struttura. La scelta è liberamente rimessa a colui che avvia l’azione. Semplicemente il danneggiato che chiami in giudizio contemporaneamente la struttura ed il medico avrà un onere della prova diversificato, come indicato nel paragrafo precedente. In particolare, dovrà meramente allegare l’inadempimento per provare la responsabilità contrattuale della struttura mentre sarà tenuto a provare l’inadempimento e l’elemento soggettivo (colpa o dolo) per far accertare la responsabilità extracontrattuale del sanitario.
Da ultimo si noti che tutto quanto detto sin ora non esclude comunque che l’esercente la professione sanitaria possa comunque essere chiamato a rispondere per responsabilità contrattuale laddove abbia agito nell’adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente. Si pensi, a titolo esemplificativo, all’ipotesi in cui non vi siano strutture coinvolte e che il medico abbia ricevuto presso il proprio studio privato il paziente sbagliando una diagnosi e con ciò cagionando un danno al proprio paziente.
Naturalmente in entrambe le ipotesi (cioè sia in caso di responsabilità contrattuale che extracontrattuale) il medico potrà sempre chiamare in giudizio al propria assicurazione al fine di richiedere l’attivazione della copertura della sua polizza professionale.